"Il Consiglio dell'Ordine Distrettuale Avvocati Catanzaro - dichiara il Presidente Avv. Antonello Talerico - si è costituito nel procedimento disciplinare pendente dinnanzi al Consiglio Nazionale Forense instaurato a seguito di ricorso proposto dall'avv. Francesco SARACO (coimputato condannato nel processo a carico anche del Giudice Petrini) avverso la decisione in data 30.10.2020 con la quale il Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catanzaro ha inflitto al predetto avvocato la sanzione disciplinare della radiazione.
La posizione del Consiglio dell'Ordine è quella di insistere nella sanzione disciplinare già applicata all'Avv. Saraco per i gravi fatti per cui è già intervenuta sentenza di condanna in primo grado. Una presa di posizione importante quella del Coa di Catanzaro.
Il Consiglio dell'Ordine verrà rappresentato dagli Avvocati Felice Foresta e Aldo Casalinuovo che hanno depositato la seguente memoria:
La decisione adottata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catanzaro, in data 30.10.2020, nei confronti dell'odierno ricorrente, appare immune da censure e meritevole di conferma.
Gli addebiti disciplinari elevati a carico dell'avv. Francesco Saraco ai capi A), B), G) e H) della rubrica, risultano, cosi come dedotto nell'impugnata decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina, ampiamente provati e correttamente posti a fondamento della più grave sanzione disciplinare irrogata, quella della radiazione dall'Albo professionale.
La responsabilità dell'incolpato si riferisce a fatti di estrema gravità che hanno interessato il Distretto giudiziario di Catanzaro e che hanno suscitato clamore mediatico e particolare attenzione nella pubblica opinione, non solo locale, per la loro oggettiva rilevanza.
La fattispecie contestata all'incolpato attiene, infatti, ad una condotta di corruzione di un magistrato in servizio presso la Corte di Appello di Catanzaro, perpetrata in occasioni diverse e finalizzata ad ottenere provvedimenti giudiziari di favore in procedimenti giudiziari nei quali egli ed i propri familiari risultavano direttamente interessati in qualità di parti.
La gravità dei fatti ascritti all'odierno incolpato in sede giudiziaria e il loro particolare disvalore possono già evincersi dalla applicazione nei suoi confronti della misura cautelare della custodia in carcere, in data 07.01.2020, per come pure evidenziato nella decisione del C.D.D. (fol. 5) oggi sottoposta al vaglio di appello (misura cautelare sostituita in data 16.02.2020 con quella degli arresti domiciliari, e quest'ultima ancora sostituita, in data 24.07.2020, con quella del divieto di dimora nella regione Calabria).
Non può, peraltro, non rilevarsi come, successivamente all'impugnata pronuncia del Consiglio di Disciplina, sia intervenuta sentenza di condanna dell'incolpato da parte del G.U.P. presso il Tribunale di Salerno, in sede di giudizio abbreviato che, qui, si unisce in copia (cfr. doc. n. 1).
In data 23.11.2020, infatti, l'odierno ricorrente è stato condannato, per i fatti di cui al presente procedimento disciplinare, alla pena di
anni 1 e mesi 8 di reclusione, con condanna altresì al pagamento di €. 260.000,00 in favore del Ministero della Giustizia a titolo di riparazione pecuniaria e con confisca per equivalente della medesima somma (pena principale sospesa, subordinando la sospensione medesima al pagamento da parte dell'imputato, entro il termine di un anno dal passaggio in giudicato della sentenza, della somma di €. 260.000,00 a titolo di riparazione pecuniaria, ex art. 322 quater c.p.).
Orbene, come correttamente affermato nel provvedimento impugnato, le condotte contestate all'odierno incolpato violano gravemente " … i doveri e le regole di condotta, i generali e principali precetti che un avvocato – inteso come iscritto ad un albo – deve osservare non solo nell'attività professionale, ma anche al di fuori della stessa, per il principio di affidamento che l'ordinamento giuridico pone nell'attività forense e nei principi imprescindibili di indipendenza, probità, decoro, dignità…" che all'avvocato stesso devono, sempre, necessariamente riferirsi.
In proposito deve rilevarsi che, nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati, gli elementi valutati in concreto per la determinazione della specie e dell'entità della sanzione non attengano all'"an" o al "quomodo" della condotta, ma solamente alla valutazione della sua gravità.
La gravità dei comportamenti contestati al ricorrente, violativi dei doveri cardine dell'avvocato e tali da ledere grandemente l'immagine dell'intera classe forense, costituisce, nella valutazione complessiva degli stessi, il sostrato ineludibile della sanzione inflitta, del tutto coerente e congrua.
Essa s'impone, pertanto, al netto di quella che, parallelamente, è stata già acclarata in sede penale nella citata pronuncia del GUP del Tribunale di Salerno.
Del resto, come pure osservato nella decisione del C.D.D.: << La legge professionale sul punto è chiara: l'avvocato "deve essere di condotta irreprensibile (art. 17, co.1, lett. h)">>.
Come è noto, peraltro, il Codice Deontologico Forense richiama all'osservanza di norme comportamentali consone al decoro e alla dignità della professione anche al di fuori dello stretto esercizio professionale, a tutela di una generale immagine della figura dell'Avvocato coerentemente connessa all'alta funzione dallo stesso esercitata anche in virtù della norma costituzionale di riferimento (artt. 2,4, e 9 Codice Deontologico Forense e art. 24 Cost.).
In proposito, la costante giurisprudenza del C.N.F. assevera la linea del maggior rigore sanzionatorio - pur senza alcun automatismo - in relazione a condotte che, anche al di fuori dell'esercizio dell'attività professionale, integrino gravi estremi di reato e conducano a provvedimenti giudiziari di condanna (SS.UU. Civili n. 15574/2015 che ha ritenuto congrua la sanzione della radiazione dall'Albo in relazione a fatti costituenti reato di "estrema gravità e rilevanza sociale").
Nel caso di specie, la condotta contestata all'incolpato si inserisce nell'ambito proprio e di elezione dell'attività forense – quello dell'esercizio della potestà giurisdizionale - risultando finalizzata alla alterazione e alla distorsione dei doveri di correttezza ed imparzialità delle funzioni giudiziarie.
La contestazione di corruzione in atti giudiziari è per un avvocato contestazione di eccezionale gravità (ovviamente, ancor più qualora la condotta, come nel caso in esame, risulti accertata), implicando non soltanto una grave ricaduta sociale in termini di detrimento della funzione giudiziaria, ma anche uno svilimento straordinariamente incisivo della cultura dei diritti e della difesa del cittadino di cui l'Avvocatura è fondamentale soggetto attivo, anzi trainante, in una società civile e democratica.
L'avvocato che accede a pratiche corruttive in sede giudiziaria dimostra di non credere nella propria alta funzione di tramite qualificato tra il cittadino e l'ordinamento giuridico e statuale e di non poter più onorare l'impegno solenne – denso di significato – pronunciato al momento di vestire per la prima volta la toga dell'Avvocatura ("Consapevole della dignità della professione forense e della sua funzione sociale, mi impegno ad osservare con lealtà, onore e diligenza i doveri della professione di avvocato per i fini della giustizia ed a tutela dell'assistito nelle forme e secondo i principi del nostro ordinamento").
La condotta confessoria dell'incolpato, nel caso che occupa, e l'assenza di una seria e consapevole resipiscenza – per come stigmatizzato nella decisione del C.D.D. impugnata – portano ancor di più a ritenere che il trattamento sanzionatorio adottato dal Giudice disciplinare di primo grado risulti congruo ed adeguato al caso specifico.
La dedotta assenza di una seria e consapevole resipiscenza così come già disapprovata, per quel che qui rileva, è sintomatica del comportamento di chi sembra disconoscere ostinatamente la rilevanza disciplinare del proprio contegno ampiamente, invece, acclarato da inoppugnabili evidenze probatorie. Sicché essa s'innesta quale concreto indice di inadeguatezza alla ricezione dei canoni deontologici cui deve essere informata la condotta di un avvocato e la loro portata.
L'illecito disciplinare, peraltro, aveva (anche prima delle modifiche deliberate nella seduta amministrativa del C.N.F. del 23.2.2018, pubblicate in G.U. DEL 13.4.2018 ed in vigore dal 12.6.2018), e ha mantenuto, quella che concordemente si definisce una (soltanto) "tendenziale tipicità".
Ed infatti, già l'art. 3 della l. 247 del 2012 prevedeva e prevede che le norme deontologiche " … per quanto possibile, devono essere caratterizzate dall'osservanza del principio della tipizzazione della condotta e devono contenere l'espressa indicazione della sanzione applicabile".
Di talchè "il fatto che oggetto di valutazione debba necessariamente essere il comportamento complessivo dell'incolpato (art. 21, co. 2, cod. deont.) conferma l'impossibilità di affermare il principio di stretta tipicità dell'illecito, che non può trovare applicazione nella materia disciplinare forense, laddove, più che una tassativa elencazione dei comportamenti vietati, vi è l'enunciazione dei doveri fondamentali – tra cui quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza – ai quali l'avvocato deve improntare la propria attività - Cass. SS.UU. n. 17720/2017 (Relazione di accompagnamento alle modifiche dell'art. 20 e del comma 3 dell'art. 27 del Codice Deontologico Forense).
Ciò, per l'appunto, in adesione al principio enunciato da Cass. SS.UU. Civ. n. 17720/2017: "Il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale, non trova applicazione nella materia disciplinare forense, nell'ambito della quale non è prevista una elencazione dei comportamenti vietati, ma solo l'enunciazione dei doveri fondamentali tra cui segnatamente quelli di probità, dignità, decoro, lealtà e correttezza (artt. 5 e 6 del Codice Deontologico Forense) ai quali l'avvocato deve improntare la propria attività, fermo restando che anche il tentativo di compiere un atto professionalmente scorretto costituisce condotta lesiva dell'immagine dell'avvocato ed assume rilievo ai fini disciplinari".
Nessuna questione, dunque, ratione temporis può essere sollevata con riferimento alla condotta contestata all'incolpato nel presente giudizio disciplinare - per come mutuata dalla imputazione elevata nei suoi confronti in sede penale - giacché essa risulta violativa dei fondamentali principi di probità, dignità, decoro, lealtà, da osservarsi in ogni tempo e nella vigenza di qualsivoglia normativa disciplinare (c.d. norma di chiusura).
Rileva dunque, sopra ogni altro aspetto, il grave danno all'immagine per l'intera Avvocatura che fatti come quelli oggi sub judice hanno innegabilmente determinato, in quanto posti in essere nella patente violazione dei sopra richiamati principi comportamentali che devono ispirare la condotta dell'Avvocato in ogni frangente e vieppiù nell'ambito di azione proprio dell'esercizio professionale.
Non può, da ultimo, sottacersi, alla luce dell'incarto processuale, l'irrefragabile volontarietà da cui è stato intessuto il complessivo comportamento antigiuridico del ricorrente.
Tale circostanza, certamente, involge una valutazione in termini di disvalore sociale particolarmente rigorosa; ma, per quel che in questa sede rileva, si configura come ulteriore elemento di sostegno all'irrogata sanzione.
Non può, infatti, revocarsi in dubbio che porre in essere i fatti contestati nella consapevolezza della loro antinomica dimensione rispetto all'ordinamento giudiziario e forense codifica una indubbia avversione ai precetti normativi e regolamentari. Avversione tale da giustificare la sanzione irrogata, stante un chiaro vulnus, anche in termini prognostici, alla funzione di cooperazione tra il cittadino e l'ordinamento che un avvocato è chiamato a svolgere.
PER I MOTIVI ESPOSTI
si chiede la conferma della decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina di Catanzaro del 30.10.2020.
Con osservanza.
Catanzaro-Roma 10 maggio 2021
avv. Felice Foresta -